Le donne colpite da carcinoma dell’ovaio non mucinoso o borderline che devono affrontare un trattamento antiblastico, subito dopo la diagnosi, hanno indicazione ad eseguire un test genetico per valutare la presenza di mutazioni dei gene BRCA1 e BRCA2.

Sono queste le principali raccomandazioni contenute in un documento sull’uso dei test genetici BRCA nella cura del carcinoma ovarico stilato dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) insieme alla Società Italiana di Genetica Umana (SIGU), Società Italiana di Biochimica e Biologia Molecolare Clinica (SIBIOC) e la Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia diagnostica (SIAPEC-IAP).

Il tumore ovarico rappresenta il 3% di tutti i tumori femminili e interessa circa 5000 nuovi casi ogni anno in Italia. Spessissimo, si stima sino all’80% dei casi la diagnosi è tardiva e arriva solo quando il cancro è ormai in fase avanzata riducendo drasticamente la possibilità di guarigione e portando la sopravvivenza a 5 anni delle pazienti a circa il 35%.

I test genetici rappresentano oggi un’arma in più per sconfiggere la malattia perché identificare alcune mutazioni BRCA permette di accedere ad una cura con una particolare categoria di farmaci, i PARP inibitori che stanno mostrando una migliore efficacia rispetto ai farmaci prima utilizzati.

L’esame, che si basa su un semplice prelievo ematico, deve però essere svolto seguendo specifici criteri stabiliti nel corso di una consulenza oncogenetica pre e post-test.

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